Il dipendente che arriva in ritardo al lavoro procura inevitabilmente un disagio all’organizzazione aziendale per cui opera. L’entità di questo disagio però è estremamente variabile in relazione al ruolo svolto dal lavoratore, all’entità e alla frequenza del ritardo stesso. La legge prevede alcuni strumenti a tutela delle parti, datore di lavoro e dipendente, ma soprattutto regole di corretta condotta reciproca e l’opportunità di superare questa criticità adottando forme di orario di lavoro flessibile.
Il lavoratore subordinato è obbligato contrattualmente ad una obbligazione di tempo nei confronti del suo datore di lavoro, ed è quindi tenuto a rispettare l’orario di lavoro individuato in contratto non soltanto in termini quantitativi di attività prestata ma anche con riferimento all’orario definito per inizio e fine della singola giornata lavorativa.
In caso di ritardo, dunque, a prescindere dalla validità della ragione posta a giustificazione, si realizza un vero e proprio inadempimento contrattuale, la cui gravità deve però essere parametrata all’entità e alla frequenza dello stesso.
Valenza della contestazione disciplinare
La contestazione disciplinare rappresenta l’atto formale di instaurazione del procedimento disciplinare che trova il suo riferimento normativo nell’art. 7 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori).
La contestazione al lavoratore rispetto al ritardo accaduto è utile innanzitutto al fine di ricordare l’importanza delle pattuizioni contrattuali e per evitare che altri dipendenti, trovandosi nella medesima situazione possano “presumere” una scarsa rilevanza della puntualità o sentirsi discriminati laddove non sempre o non a tutti sia contestato il ritardo accaduto.
Il datore di lavoro deve inviare al dipendente una lettera di contestazione disciplinare nella quale contesta il ritardo, specificando giorno e ora dello stesso. Il lavoratore, nei cinque giorni successivi, può a sua volta inviare al datore di lavoro le proprie giustificazioni scritte, recepite le quali il datore di lavoro decide se applicare o meno la sanzione disciplinare.
La sanzione deve essere proporzionata alla gravità del ritardo e alla condotta del dipendente; può andare dal semplice rimprovero verbale alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino al licenziamento per giusta causa.
La legge definisce alcune specifici caratteri che la contestazione deve rispettare:
- specificità: esposizione chiara e precisa dei fatti contestati al dipendente (luogo, il giorno e l’ora in cui si è verificato il fatto);
- tempestività: il datore di lavoro deve contestare entro un tempo breve dall’accadimento dei fatti da contestare;
- immutabilità: i fatti posti alla base del provvedimento disciplinare che verrà successivamente emanato devono coincidere con quelli che sono stati preventivamente contestati;
- modalità di consegna: consegna a mano o per raccomandata con ricevuta di ritorno.
Sanzioni applicabili
Esistono vari gradi di sanzioni irrogabili, in base alla gravità della condotta contestata e alla presenza di un comportamento recidivante:
- rimprovero verbale: la sanzione più lieve e consiste in una semplice contestazione orale del ritardo;
- ammonizione scritta da conservare nel fascicolo personale del lavoratore;
- multa: sanzione pecuniaria consistente nella decurtazione della retribuzione fino a un massimo di 4 ore;
- licenziamento: applicabile solo nei casi di ritardi gravi e ripetuti che compromettono il normale svolgimento dell’attività lavorativa, soprattutto se il lavoratore svolge mansioni particolarmente importanti o delicate.
Valutazione della gravità del ritardo
Il ritardo del dipendente non costituisce condotta univoca in termini di gravità, e va valutato in base ad alcuni parametri, tra cui:
- entità del ritardo;
- informazione tempestiva al datore di lavoro;
- reiterazione del ritardo;
- importanza delle mansioni svolte;
Il lavoratore ha 5 giorni di tempo dal recepimento della contestazione per potersi difendere, giustificando il ritardo (procedura di irrogazione).
Il lavoratore può altresì opporsi alla contestazione:
- rivolgendosi al collegio di conciliazione e arbitrato alla Direzione Provinciale del lavoro, entro 20 giorni dalla data di irrogazione;
- rivolgendosi al giudice del Lavoro entro un termine di 10 anni;
- rivolgendosi a commissioni di conciliazione o utilizzando tutte quelle procedure previste dal Contratto collettivo.
Opportunità dell’adozione di un orario flessibile
Con la dicitura “orario flessibile” ci si riferisce alla possibilità concessa ai dipendenti di entrare dopo o uscire prima dell’orario stabilito, nel rispetto delle indicazioni del datore di lavoro, alle necessità produttive e alle policy aziendali.
La cosiddetta “flessibilità orario di lavoro”, infatti, può essere concessa secondo varie modalità ma deve sempre rispettare le direttive e le indicazioni del CCNL di riferimento.
Esistono varie modalità utili a rendere flessibile l’orario di lavoro:
- flessibilità per orario di entrata e uscita: i lavoratori possono decidere, all’interno di fasce orarie precise, quando entrare e quando uscire in libertà.
- orario concentrato: i lavoratori possono ridurre o saltare la pausa pranzo per recuperare e modificare il proprio orario di ingresso o uscita;
- compresenza: prevede che ci siano delle fasce orarie in cui il lavoratore deve essere per forza in presenze e delle altre in cui può scegliere il suo orario di ingresso e uscita;
- smart working: un’altra modalità con cui si può erogare la flessibilità è lo smart working.
L’orario di lavoro flessibile rientra nelle misure di welfare aziendale, utile a migliorare l’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa dei dipendenti.
La forma più utilizzata di orario flessibile è costituita dalla possibilità per i dipendenti di entrare e uscire dal posto di lavoro entro fasce orarie predeterminate – e non obbligatoriamente ad una determinata ora. Al lavoratore viene quindi concessa autonomia decisionale e un margine di tempo che gli permette di conciliare i propri impegni lavorativi con quelli personali (flessibilità in entrata e in uscita).
Fonte IPSOA.it